storia della friulana Una calzatura modesta ma tecnologicamente perfetta La friulana è stata la calzatura, il più delle volte l’unica calzatura, di una società basata prevalentemente su di un’economia di autoconsumo, prodotta dalle donne utilizzando pezzi di stoffe di risulta cuciti a mano. Era comune in tutto l’arco alpino, diffusa anche in pianura fino all’Istria. L’emigrazione delle donne friulane impiegate soprattutto come domestiche e il piccolo commercio ha fatto conoscere questa comoda e curiosa scarpetta nelle grandi città italiane prima a Venezia e poi a Milano, Torino, Bologna, rendendola in tempi recenti un capo di abbigliamento di tendenza. Si tratta di una calzatura modesta ma tecnologicamente perfetta, che è stata in grado di evolversi nel tempo adottando di volta in volta i materiali di riuso disponibili: la suola originariamente fatta di pezze ottenute da vecchi indumenti, fittamente trapuntate è diventata più robusta grazie all’uso dei copertoni di bicicletta, la juta dei sacchi per il trasporto dei chicchi di caffè ha reso più morbida l’imbottitura della suola stessa. Tre sono le aree dove, dal dopoguerra, la produzione della friulana non si è esaurita: la Carnia che ha mantenuto una produzione familiare dal carattere fortemente identitario e dai tratti folklorici, la zona del sandanielese, nella quale la friulana ha generato un fiorente e rinomato distretto della pantofoleria con una decisa connotazione industriale, la zona di Gonars nella quale invece l’aspetto artigianale si è conservato in alcune piccole aziende che non si sono trasformate in attività calzaturiere.